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Cambiamenti nel paradigma della politica

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Luisa Muraro

Conferenza tenuta presso l'Università di Girona, promossa dalla prof. Elisa Varela, il martedì 19 dicembre 2006

Ci sono fatti che, come lampi nel buio, fanno una gran luce che dura poco e ci lasciano in un'oscurità peggiore di prima: la caduta del muro di Berlino nel 1989, la caduta delle Torri gemelle di New York, nel 2001. Ho accostato eventi fra loro molto diversi, ma per un aspetto molto simili. Tutto va molto in fretta, sempre più in fretta e le cose erette per durare non stanno su. Dopo la caduta del muro di Berlino, qualcuno disse che la storia era finita, per dire che gli Usa erano destinati ad esercitare una stabile egemonia mondiale, ma il governo che si è istallato alla Casa bianca ha fallito completamente questo traguardo. All'instabilità evidente si accompagna il problema del senso della politica: che significato abbia in sé e per noi oggi. Se uno/a mi chiedesse: che cosa intendi per politica, la mia prima risposta sarebbe che questa è una domanda alla quale la cultura occidentale oggi non sa rispondere. In questo senso si dice che il paradigma della politica è in crisi. Il paradigma, detto in breve, è una specie di modello basico che dà una certa coerenza ad un insieme di pratiche e di conoscenze senza impedire, anzi favorendo il loro sviluppo. Si dice che cambia il paradigma quando sono messi in questione dei presupposti fino allora tacitamente condivisi, in vista di nuove prospettive. Ma ci sono e quali sono? Nella situazione in cui ci troviamo, secondo me, si deve rinunciare a formulare teorie vere e proprie. Ma non a leggere la realtà che cambia. Si fa come chi racconta il suo viaggio man mano che viaggia. Si fa tenendo conto dell'esperienza personale e ascoltando quella degli altri, delle altre. Non c'è un punto di vista oggettivo, chi dice di averlo si sbaglia o imbroglia. Ma non siamo neanche condannati al soggettivismo, perché ciascuno/una di noi è parte della realtà che cambia e ne ha una qualche esperienza, e perché, con la parola, può comunicarla ad altre, altri. Sono finite le grandi narrazioni, si è detto, ma non sono finite le narrazioni, anzi, è cominciato il tempo delle molte narrazioni. La presente situazione potrebbe essere vista tutta all'insegna di un meno: ci manca un punto di vista oggettivo, non si può aspirare alla conoscenza scientifica (teorica), le grandi narrazioni sono finite, ecc. È finita anche la grande politica, secondo il filosofo italiano Mario Tronti. Io sostengo invece che il disfarsi o disfieri (undoing, per parlare come Judith Butler, tradotto in it. "disfatta", che è piuttosto sbagliato)[1] delle costruzioni erette al tempo delle grandi narrazioni, fa vedere nuove figure e apre nuove possibilità. È questo il messaggio di uno degli episodi del film Undici settembre, quello della finestra che era sempre in ombra e che, con la caduta delle Torri, vede il sole. Alla situazione di crisi da me descritta sopra, corrisponde, infatti, su un piano di risposte possibili, la pratica politica del movimento delle donne così come si è sviluppato dalla fine degli anni sessanta del sec. XX. Questo movimento è caratterizzato, in negativo, dall'assenza di un'organizzazione, sostituita da una rete di rapporti fra piccole aggregazioni informali e non gerarchiche, caratteristica che ritroviamo anche nel movimento no-global; in positivo, dalla pratica dell'autocoscienza e del partire da sé, non praticate individualmente ma in relazione con altre. Ci siamo messe in condizione di leggere la realtà di cui eravamo parte, senza ricorrere a qualche visione d'insieme, e di contribuire alla sua trasformazione in un senso favorevole alla libertà femminile. Questa trasformazione consiste nel passaggio ad un altro ordine di rapporti rispetto a quelli di tipo antagonistico, regolati dalla legge del più forte. L'idea era e rimane quella di cambiare il rapporto tra sé e sé, con le altre donne e la realtà circostante, senza seguire una normatività precostituita, etica o scientifica che sia, tenendo invece conto dei desideri propri e altrui, cercando le possibili vie di realizzazione, dando la preferenza alla ricerca del senso sull'efficienza, alle relazioni sulle leggi, al guadagno di autorità sulla conquista di potere, così da sottrarci all'oggettivazione del dominio, in primo luogo quello sessista ma non soltanto, e così da sviluppare una soggettività autonoma in un contesto modificato non da fattori esterni ma dalla mediazione vivente delle singole e dei loro rapporti. Alain Touraine, autore di un libro molto interessante sulla politica delle donne, Le monde des femmes (Fayard, Paris 2006), intervistato sul manifesto del 2 nov. scorso, parlando dei movimenti oggi attivi, ha detto: "Poi c'è il movimento che più m'interessa, quello delle donne. Esso porta a una radicale trasformazione del campo culturale, una vera e propria creazione del contesto conflittuale, che viene così sottratto ai gruppi dominanti: le donne, come attrici collettive, creano la posta in gioco e il campo culturale del conflitto con altri attori sociali (…), in altre parole costruiscono sé stesse, riparano ciò che è stato smembrato dalla globalizzazione, dall'esposizione alla deriva delle forze del mercato". La politica delle donne ha una somma di caratteristiche che la rendono adeguata alla crisi della politica che si vive in Occidente, nel senso che la interpreta creativamente, indicando delle vie d'uscita. C'è qualcosa di strano nel fatto che un movimento come quello femminista, nato in una stagione di fiorente partecipazione politica, abbia prodotto un sapere in rispondenza con il nostro presente, così difficile. Una spiegazione si trova, forse, considerando il gesto che ha dato avvio al movimento delle donne, quello della separazione: un certo numero di donne, prima poche, poi molte, che pure avevano davanti a sé la strada dell'emancipazione, hanno rotto con questa prospettiva perché si sono accorte che su quella strada bisognava sempre scartare qualcosa di sè, per conformarsi invece ad una misura stabilita da altri secondo le loro rappresentazioni. Fu come dar vita alla libertà in totale povertà di mezzi. La cultura di sinistra ha continuato a misconoscere l'originalità del femminismo, continuando a parlare di una "questione femminile" e dando il suo appoggio al femminismo di Stato. Il libro di Touraine è un segnale notevole che le cose stanno cambiando, altri ve ne sono, purchè non si finisca, da parte delle donne, nel semplificatoio del bisogno di riconoscimento, così sentito ai nostri giorni. Andrebbe perduto un elemento decisivo, la contraddizione vissuta di ciò che viene scartato dal potere che riproduce se stesso. La caratteristica comune di tutte le pratiche politiche inventate dal movimento femminista, che si tratti di trasformare i rapporti familiari, di agire per la riforma della scuola, di lottare contro la violenza sessista o di misurarsi con il mondo del lavoro, è di alimentarsi da un senso libero di sé, guadagnato e riguadagnato con l'ascolto di sé e degli altri, indipendentemente dalle misure già fatte. Mi spiegherò con un esempio. Nella presentazione di una Conferenza internazionale dal titolo Genere e Potere, che si terrà a Roma nel 2007, leggiamo che negli ultimi trent'anni è avvenuta "una svolta epocale", e sarebbe che solo ora "le donne hanno cominciato ad entrare a far parte della cerchia di coloro che decidono i destini della cosa pubblica". La mente va subito a nomi come Ségolène Royal, Michelle Bachelet, Nancy Pelosi, Angela Merkel… senza considerare l'aspetto di cooptazione maschile che caratterizza, inevitabilmente, queste carriere. La politica delle donne è un'altra cosa, non è contro ma comincia prima e si sviluppa oltre; essa ha concepito, infatti, la possibilità di oltrepassare i rapporti di potere e di questa possibilità, con tutta la gioia che può dare, ha fatto non un'utopia ma l'epicentro di un riguadagnato senso di sé.[2]

  1. J. B., Undoing Gender, New York 2004.
  2. Cfr. Alain Touraine, op. cit., p. 106 : ... " C'est pourquoi les femmes se sentent supérieures aux hommes "

Il pensiero delle donne è pensiero per tutti

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Di Franca Troisi, Centrodonna Avellino

Le donne sono comparse all’improvviso alla ribalta. Sul palco di piazza del Popoli e in centinaia di città d’Italia, le donne non hanno avanzato richieste, ma con la loro presenza hanno reso visibile una concezione alternativa della politica. Come in un fuoco alchemico è stato necessario arrivare alla temperatura di incandescenza per fare apparire quello che nella riflessione e nella pratica delle donne è politica: relazione, comunicazione, cultura, arte, lavoro, creazione, accadimento. Ma chi ha detto che le donne in questi anni sono state assenti?

Le donne hanno approfittato dell’assenza dalla scena visibile del potere per accumulare pensiero e convinzioni, partendo dalla loro esperienza. Sono bastate poche donne: due registe, una scienziata della politica, due attrici e un appello, per fare scoccare la scintilla, partendo da un quesito: perché la politica non interroga finalmente la vita delle persone? Le donne sono accorse, fiumane inarrestabili, per dire la loro idea della politica. Politica che ha bisogno certo di regole, di leggi, ma anche della forza, della convinzione da parte di ognuno che là dove si è si costruisce polis-cittadinanza. Le donne in questi anni hanno fatto tesoro del pensiero politico di Hanna Arendt e Simone Weil, di Luce Irigaray e Luisa Muraro, Maria Zambiano. Esse hanno saputo in questi lunghi anni attraversare i territori della poesia e della psicoanalisi, della scienza e dell’arte, per dire quello che la politica statuale non sa dire, non vuole dire. Che ognuno, per sé, è centro irradiante di legami che reggono la società e non la fanno implodere.

E la parola è ponte e legame fra noi. Dal palco è venuta l’allegria di chi finalmente è riuscita a dire la sua verità: non abbiamo molto da spartire con chi, ovunque, fa della politica azione di potere, costruzione che incatena, ma non sa comunicare se non con obblighi e costrizioni, rassegnazione e sottomissione alle leggi della localizzazione imperante.

La politica è sviluppo di capacità messa a disposizione per tutti di occasioni, opportunità, di istituzioni, per accrescere i nostri talenti e consentirci di esprimerli a vantaggio nostro e della comunità. La politica è crescita di soggettività.

Possiamo ripensare radicalmente il vivere comune per fare posto a una visione che non si basa solo su regole, norme, ma sull’arte socratica della maieutica, arte del far nascere e crescere, legando la politica alla vita. Legame che è andato perduto in questi anni di reality e finzioni medianiche che hanno oscurato la vita vera, l’esperienza vitale soggettiva di tutte noi e di tutti noi. E allora devono circolare anche nella politica, parole come felicità, desideri, esperienza, democrazia reinventata, per inserirvi l’inatteso, quello che ancora può nascere e venire alla luce.

Possiamo impadronirci del nostro tempo e della nostra esperienza per costruire, ognuno a partire da sé, un mondo in cui in lavoro non sia merce, ma come hanno fatto le donne in tutti i tempi, atto di amore e di accadimento. A partire da sé.

Dal palco è venuta una rappresentazione plastica i un altro modo di intendere il vivere comune, la politica, nella consapevolezza che “le donne non cambieranno veramente la loro vita se non rompendo l’intero quadro che le rende subalterne” (A. Tourain). E’ per questo che il pensiero delle donne è pensiero per tutti.

Alain Touraine dalle storiche

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Lunedì 21 gennaio 2008 all'Università Statale di Milano-Bicocca, nel primo pomeriggio Alain Touraine, su invito di Carmen Leccardi, ordinaria di sociologia della cultura, ha presentato e discusso il suo libro di prossima traduzione e pubblicazione in Italia, Le monde des femmes, Fayard, 2006. Carmen Leccardi precisa che questo testo fa parte di una lunga riflessione dell'autore in cui le donne appaiono come soggetti. "Il titolo da me proposto" esordisce Touraine "era Il tempo delle donne, ma l'editore l'ha cambiato perché esisteva già un altro libro con lo stesso titolo. Il mio intento in questa ricerca, che vuole essere di sociologia generale e non uno studio di genere, era il superamento della dicotomia: donne vittime o protagoniste?" Il metodo è quello dell'interazione sociologica: una modalità di tipo relazionale, che utilizza tecniche d'intervista qualitative, molto poco oggettive, distanti da quelle, strutturate, tipiche della ricerca quantitativa. Il libro è dunque frutto di una ricerca sul campo, condotta con due gruppi di donne, francesi e musulmane; un lavoro che si è sviluppato, nel corso di tre anni, all'interno di un seminario alla Scuola di Studi Superiori di sociologia di Parigi, dove A. Touraine insegna. In premessa (prima di entrare nel merito dei contenuti del libro), l'autore disegna un quadro delle battaglie femministe per i diritti della prima metà del '900: il diritto al voto (protagoniste le donne inglesi) e quello all'aborto, che ha trovato l'opposizione della Chiesa (in Spagna hanno iniziato i vescovi, in Italia il papa, il Vaticano) e portato, in Francia, alla legge voluta da Simone Veil. Secondo Touraine, con queste battaglie per i diritti si è come imposto, al senso comune, l'immagine della donna come vittima. "Esempi evidenti dell'ineguaglianza fra uomini e donne, su cui tutti concordano e che producono una rappresentazione debole" continua Touraine "li troviamo (ad eccezione dei paesi nordici e dell'Europa orientale) in ambito economico, nel lavoro, così come in quello politico. in Francia ancora oggi molte donne svolgono lavori meccanici e ripetitivi e, in passato, erano collocate quasi solo in settori allora non di mercato, come l'educazione e la sanità (il che, però, dava loro il vantaggio di godere di più tempo libero…). Nell'industria, nelle banche, nel governo e nell'esercito l'ingresso delle donne è molto lento. Su 40 grandi imprese francesi, ce n'è una sola diretta da una donna ed è quella dell'industria nucleare. Il cammino verso l'uguaglianza è dunque molto lento. Mi sono chiesto, anzi, se esista davvero un percorso in questa direzione o se, invece, potrebbe non esistere. Nell'ambito familiare, poi, c'è una crescita quantitativa della violenza sofferta dalle donne. Questa scoperta è stata una sorpresa. Un terzo degli episodi di stupro sono subiti in famiglia. Dieci-venti anni fa non si sentiva parlare di questi fatti. E anche il fenomeno dell'incesto dei padri sulle figlie ha raggiunto proporzioni elevate. Perciò c'è questa percezione della donna vittima di violenze. Ma il paradigma vittima/padrone presuppone una società senza attori, attrici. Siamo veramente oggi a questo punto, dentro un sistema senza attori protagonisti, fatto di colonizzati/colonizzatori, operai/padroni, ecc.? Di fronte a questa domanda, ho deciso di smettere di leggere libri sulle donne, studi di genere, inchieste, questionari, e di ascoltare la parola delle donne stesse. E così arriviamo al tema del mio libro, al cuore della ricerca. Alle donne che hanno partecipato ai gruppi di lavoro ho posto domande semplici, dirette, che prevedevano risposte libere, aperte (come anticipavo, non mi sono servito di questionari strutturati). La prima e' stata: "come vi definite?" E tutte, nessuna esclusa, hanno risposto: "sono una donna". La seconda riguardava la cosa che ciascuna percepisce come più importante, nella sua vita. La risposta è stata, per quasi tutte: "costruirmi come donna". Queste parole apparentemente semplici, in realtà pesano come macigni. E pongono immediatamente altre domande: cosa vuol dire essere una donna, costruirsi come donna? Ho poi chiesto "Come potrete sapere se vi siete realizzate o avete fallito la vostra vita?" La maggioranza ha risposto prendendo come riferimento la sessualità. E ancora: "Siete consapevoli di una certa superiorità delle donne rispetto agli uomini? E in che cosa consiste questa superiorità?" La risposta più frequente è stata questa: "la differenza fra gli uomini e le donne è che le donne sono in grado di fare due cose alla volta, mentre gli uomini no. Noi siamo capaci di vivere una vita privata e una vita pubblica. Gli uomini sono orientati solo alla vita pubblica." E non si tratta di psicologia femminile o maschile. Stanno parlando di un cambiamento della società di cui loro sono le agenti primarie. Da cinquecento anni, ovvero da quando è cominciata la modernità in Occidente (in Cina e nei paesi arabi no), cioè la civiltà degli uomini a cavallo, le donne si sono sempre occupate dei bambini, del cibo e della salute. Secondo l'immagine di un arco ben teso, l'ineguaglianza si è tirata fino al punto massimo di tensione, il più lontano possibile. L'astuzia della società occidentale ha conquistato le risorse più rare... Aumentando enormemente la forza di concentrazione e l'ineguaglianza sono cresciuti anche il rischio di esplosione dei conflitti e l'accumulazione delle risorse. Dopo circa 300 anni di funzionamento di questo sistema, le persone a capo dell'arco teso hanno cominciato a ribellarsi: così abbiamo avuto la rivoluzione francese e il taglio della testa del re, il movimento operaio, i sindacati, i diritti, le leggi, la decolonizzazione, lo statuto dei lavoratori. L'arco si è disteso, allentato. Da una società dell'arco teso siamo passati ad una società senza scopi, senza mobilitazioni; una società del supermercato. Ma c'è solo questo? Direi di no. In Francia da 50 anni, altrove più recentemente, si va formando un grande progetto. Poiché la società degli uomini era fondata sulla polarizzazione, bisogna depolarizzare, riunificare ciò che è stato tenuto a distanza, separato. Noi e gli altri... i barbari. Ebbene, le donne sono le agenti principali di questo cambiamento, di questa depolarizzazione, reintegrazione. Perché? Alle donne era vietata la soggettività. Potevano dire noi, loro, il popolo, la collettività ma non potevano dire "Io… A partire da me, creando in me ciò che diventerà il modello che vale per tutti, contro il modello della polarizzazione". Riunire in sé il pubblico e il privato va al di là dell'opposizione uomo-donna e di tutti i conflitti. L'affermazione di sé come essere di desiderio, così si fa la costruzione di sé... E il riconoscimento dell'altro come creazione della propria libertà. Questo non è né egoismo né godimento solitario… Narcisismo come coltivazione di sé e non come immagine di sé da ammirare nello specchio d'acqua (pp. 75-76 del libro). Vorrei portare un esempio per chiarire questo punto e andare al cuore stesso della mia ricerca. Alla terza riunione del gruppo di lavoro, condotto da una ricercatrice musulmana velata, una donna di circa 32 anni stava vivendo un dramma: abitava con i genitori, sottomessa alla legge della verginità obbligata, adorava i genitori però non tollerava più la sorveglianza del fratello maggiore e voleva andarsene. Ma si sentiva lacerata e piangeva. Una scena commovente, tutte erano coinvolte. Poi si è alzata, ha smesso di piangere e ha detto: "Mi rendo conto che per la prima volta in vita mia ho detto Io". Qui vorrei citare fra gli altri reazionari Samuel Hungtinton (autore di Scontro di civiltà), che ha predicato l'inevitabilità dello scontro di civiltà. Idea già esposta da altri suoi pari: possono essere i cinesi, gli indiani, gli americani che provocheranno questo shock, non sappiamo, ma... E invece no, questa donna dice che ci può essere un'altra soluzione: "Sono una musulmana, ma non accetto il controllo della comunità musulmana su di me, sono francese e voglio lavorare, voglio una professione moderna, voglio costruirmi il mio io, prendendo da tutte le parti, essere un soggetto dentro di me in relazione alla mia comunità, non mi schiero sennò sarebbe la guerra, non rifiuto a priori niente né del mondo occidentale né del mondo musulmano. Accetto e respingo nello stesso tempo. Voglio scegliere e costruirmi la mia vita, come una vita di donna". E gli uomini, in tutto ciò? Non ho condotto studi specifici con uomini. Ho tentato con gruppi di uomini in parallelo, ma non hanno parlato. Siamo in presenza di due livelli. È chiaro che esistono le donne violentate, maltrattate, picchiate, ma non credo che stiamo andando verso un ritorno del maschio. Viviamo già in una società di donne, anche se vediamo gli uomini, o la Chiesa, resistere a questo cambiamento. Gli uomini hanno qualche vantaggio, più soldi, hanno il potere che permette loro una transizione a questa realtà che fanno fatica ad accettare. Siamo in una cultura dell'essere dentro, della soggettività, orientata dall'interno più che dall'esterno e perciò le donne hanno l'iniziativa e gli uomini non resisteranno a lungo. Da 30 anni siamo in questa situazione: gli anni 60-70 sono stati segnati da un cambiamento strutturale, centrato più sulla personalità che sull'economia. Mentre le istituzioni ed il linguaggio sono rimasti ancora vincolati ai valori del passato. Non sono le donne che si devono avvicinare agli uomini, ma viceversa. Per esempio nel campo del lavoro domestico siamo ancora lontani. Gli uomini se ne occupano in percentuali molto ridotte, microscopiche". Dibattito. Antonella Nappi L'ascolto dell'altro che è anche ascolto della natura e saper mediare. Questo è il vero cambiamento. Il mondo è sempre stato delle donne. La soggettività come misura, gli uomini non hanno la misura.. Pinuccia Barbieri Nella nostra pratica politica alla Libreria delle donne io con altre abbiamo costituito un gruppo sul lavoro e abbiamo ascoltato l'esperienza delle donne: trovo una conferma, molti punti in comune con quanto lei sta dicendo e ha scritto nella sua ricerca. Le donne fanno due-tre lavori contemporaneamente. È uscita una pubblicazione della Libreria delle donne, un Quaderno dal titolo Parole che le donne usano nel mondo del lavoro oggi, in cui diamo conto di parole ed esperienze che non compaiono nelle ricerche tradizionali. Adesso abbiamo creato un altro gruppo che a messo a tema il part-time e la maternità, in cui ascoltiamo la parola delle donne. Come conciliare questi due desideri? Alain Touraine La cosa che sorprese me e le altre ricercatrici fu che le donne parlavano assai poco degli uomini. La parola coppia non è stata mai pronunciata. Il loro pensiero profondo non è costruire se stesse per comunicare con l'altro, ma comunicare con l'altro per costruire se stesse. La relazione amorosa era definita come un mezzo, una modalità importante per arrivare al più alto livello di costruzione di sé, il Moi. Non è obbligatorio l'amore eterosessuale, no al grande amore romantico, ma grazie al grande amore potersi costruire . Per esempio, a Lille hanno chiesto alla sindaca, Mme Audry, che alcune piscine comunali fossero riservate a sole donne. Le piscine pubbliche per legge sono miste. In America ci sono tanti club per sole donne. Questi fatti traducono bene il discorso dell'importanza del rapporto con se stesse o con un'altra donna, più che con un uomo. Sulla seduzione per esempio in America le donne parlano contro la seduzione e contemporaneamente usano i prodotti della pubblicità che condannano. È una contraddizione aperta... In un gruppo di ricerca sulla seduzione eravamo ad un punto morto. Una donna marocchina, molto bella e intelligente trovò una risposta soddisfacente: "quando torno a casa dopo avere visto in giro per la città manifesti e spot, mi guardo allo specchio e penso: mi hanno rubato i miei capelli, hanno rubato il mio viso." Questa frase molto semplice ci dice che le donne sono contro l'apparato perché hanno il sentimento che le diserotizzano trasferendo l'eros nei manifesti, negli spot. Una macchina con un uomo nudo sul cofano è una macchina erotizzata e un uomo diserotizzato. Le donne non hanno niente contro la seduzione, ma capiscono che nella pubblicità è l'oggetto che diventa erotico. Evidentemente ci sono differenze fra i diversi paesi. Negli Stati Uniti gli uomini non amano le donne. Gli uomini sono conquistatori a cavallo, persiste il mito della frontiera che si spostava... E le donne sono prostitute. Questa ostilità contro le donne è una immagine puritana. All'università, per esempio, un professore non può ricevere una studentessa nel suo studio se non tenendo la porta aperta. Sotto c'è la convinzione che tutti gli uomini sono dei violenti. In Europa non ho mai sentito una cosa simile. Di fronte al comportamento delle donne che cercano di conciliare tutto c'è una reazione machista degli uomini… Silvia Marastoni Lei ha detto che sono gli uomini che devono avvicinarsi alle donne e non viceversa. Che cosa ha notato in Francia rispetto a questo, da lei auspicato, avvicinamento? In Italia si sono costituiti negli ultimi anni alcuni gruppi di uomini che lavorano su di sé, a partire dalla sessualità. L'anno scorso hanno scritto e reso pubblico un documento sulla violenza maschile contro le donne. È un segnale importante, anche se gli uomini coinvolti sono ancora pochi… In Francia succede qualcosa di analogo? A proposito della presenza delle donne nella politica tradizionale/istituzionale: in Italia recentemente è stata avanzata da parte di alcune donne una proposta di legge che chiede l'uguaglianza della rappresentanza politica, il cosiddetto "50/50". Durante una conferenza a Milano, interpellata su questo tema, Luce Irigaray si è detta contraria, auspicando invece da parte delle donne l'impegno per la costruzione di altro dall'esistente, di una propria cultura e civiltà (invece dell'inclusione in quella maschile). Lei cosa ne pensa? Alain Touraine Le donne, come tutti, non credono alla politique politicienne, come la chiamano da noi, cioè ai partiti; la considerano uno scacco totale. Ma soprattutto questa politica è il mondo degli uomini. Francesca Zajczyk Le donne vogliono scegliere, le giovani donne non riescono a scegliere cosa fare, come essere. È vero che non sappiamo se arriveremo a una società di eguali. È vero che la costruzione della soggettività femminile è importante. Se però persiste una condizione di non potere, di pochi soldi per attuare la soggettività - poter scegliere quando lavorare, fare figli... - a cosa servirà questa soggettività? Qual è la relazione fra la costruzione del sé e la politica della rappresentanza nella società per permettere a tutti l'esercizio della soggettività? Anche noi abbiamo fatto una ricerca sulla seduzione che riguardava donne che lavorano in alte posizioni, vicine al tetto di cristallo e oltre. È emerso che la seduzione è stata utilizzata perché anche gli uomini la utilizzano. È un modo di essere donna e come risposta a forme di discriminazione, di difficoltà di affermare la propria professionalità, il merito. C'è molta consapevolezza e cinismo insieme… (Trascrizione a cura di Laura Minguzzi e Silvia Marastoni)

Presentazione di Luciana Tavernini per la serata di Immagine

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  • Storia al Circolo della rosa - 15 novembre 2008 -
  • Proiezione e discussione del documentario Reynalda del Carmen, my madre y Yo di Lorena Giachino Torréns (85’,Cile, 2006) presentato al Festival Internazionale della regia femminile Esperienze di libertà femminile, ed.2008 organizzato da Trust. Nel Nome della Donna

Nell’introduzione al documentario non vi dirò nulla della trama per lasciarvi intatta la sorpresa della visione, ma voglio indicarvi quello che, secondo me, ha permesso alla regista di realizzarlo, quelle pratiche che ne hanno determinato l’originalità e vi indicherò, dato che ci troviamo in una libreria, anche i libri che hanno contribuito a queste riflessioni. Innanzi tutto ho sentito una forte consonanza con il lavoro che come Comunità di storia stiamo facendo sulla STORIA VIVENTE, dove la storia della storica, anzi la parte più oscura, quella che costituisce un nodo non ancora messo in parole non solo è il punto di partenza, ma, indagata, può portare a un nuovo simbolico, cioè a parole che possono illuminare il nostro presente. E’ una pratica usata e mostrata da Marirì Martinengo nel suo libro "La voce del silenzio", ripresa da María Milagros Rivera Garretas sia qui che a Roma nel Convegno delle filosofe, i cui atti sono pubblicati nel volume "Il pensiero dell’esperienza" che presenteremo al Circolo il 7 febbraio. E’ una storia dove si supera la separazione tra soggetto, chi è attivo e indaga nel passato, e oggetto passivo che si fa descrivere e definire, dove l’esperienza umana vissuta da chi scrive, e nel caso di Lorena Giachino Torréns fa un documentario e usa il linguaggio cinematografico, non è separata dalla storia che presenta. L’oggettività, che non va confusa con la fedeltà alle fonti e la loro valutazione critica, fa perdere il legame tra ciò che avviene e le donne e gli uomini che vivono e riferiscono quegli avvenimenti, un legame che invece nella vita è inscindibile. Fa sì che la storia ci appaia come qualcosa di morto e mortifero. In questo documentario, invece, autobiografia, biografia e storia collettiva sono in continuo vivificante dialogo. Inoltre nessuno viene trasformato in personaggio, in icona conclusa, ma entrando nelle viscere del tempo, del suo tempo, la regista le apre di nuovo alla vita e al suo scorrere, smuovendo anche noi. Qui il tempo non è una linea retta dal passato al futuro, non è neppure il tempo immobile di tutti gli assolutismi che ci vogliono inchiodare in un eterno presente, quello del sogno di potere del dittatore che non ne ammette altri, ma è un tempo curvilineo e molteplice, che si sposta in avanti per poi ritornare indietro in continui movimenti che si aprono all’essenza della vita che è continua apertura, trascendenza, eccedenza. Anche la nostra vita individuale diventa un inferno se dimentichiamo di rinnovarci ogni giorno "in un doppio movimento che, per Zambrano, costituisce la trama ultima della storia: voltarsi indietro per recuperare il proprio passato "sciogliere le amarezze trattenute nella memoria, mettere allo scoperto le piaghe nascoste"per poi protendersi verso il futuro, verso l’aurora di una nuova crescita" . Quale capacità umana Lorena Giachino Torréns mette in gioco per costruire le relazioni che le hanno permesso questo suo lavoro. Mi affido di nuovo al pensiero di María Zambrano come ci è stato presentato da Annarosa Buttarelli. Usa la Pietà, cioè "il saper trattare adeguatamente l’altro", senza schematizzarlo in un’astrazione. Oppure, con Edith Stein, possiamo parlare di empatia, una capacità complessa, ben analizzata da Laura Boella, che possiamo consapevolmente sviluppare. In parole semplici l’empatia è il sapersi mettere nei panni dell’altro, senza credere di diventare o sovrapporsi all’altro. Oggi sappiamo, grazie alla scoperta dei neuroni a specchio, che vi è una base neurologica ma non basta, richiede che sviluppiamo l’immaginazione non per immedesimarci ma per leggere più in profondità ciò che accade nell’incontro, per modificarci in modo imprevisto e libero, per salvarci dall’indifferenza e scoprire la nostra comune umanità. Infine voglio sottolineare la modalità con cui la regista porta alla luce esperienza che ci mostra. E’ molto simile alla pratica politica delle donne di "raccontare l’esperienza". Si tratta di narrare ad altre e con altre la propria esperienza con la fiducia di poterla interpretare. L’atto del narrare qui ed ora fa’ in modo che l’esperienza narrata possa prendere una nuova forma, uscire dalle modalità di interpretazione già date e costruire un nuovo simbolico, cioè contribuire a dare un senso diverso a quello che è capitato e ci sta capitando. Come dice Luisa Muraro, la narrazione ha caratteristiche particolari: è un "evento di cui i partecipanti (le partecipanti, nel caso che ci interessa) fanno esperienza insieme, per cui all’esperienza vissuta, nell’atto di diventare esperienza raccontata subentra, insieme all’attività di ricordare, raccontare, ascoltare, anche l’esperienza vissuta, qui ed ora, dai partecipanti all’atto della narrazione". Riferendosi all’esperienza femminista, Muraro fa presente che con questa pratica si è dato "libero corso al significarsi di un’esperienza altrimenti taciuta, ignorata o malintesa". Anche qui vi è un’esperienza che viene significata in modo nuovo. Vi invito a guardare questo documentario proprio per vedere se anche per voi modifica il senso di quegli avvenimenti, se vi apre nuove domande sull’oggi.